MAGIC PIE
THE SUFFERING JOY (2011)

NORWAY
GENRE: PROG
LABEL: PROGRESS RECORDS
WEBSITE: Official site
REVIEWED: 2011 JULY 13TH
RATING: 70/100
 

 

 
Ammetto che possa sembrare incomprensibile l’idea che mi sono fatto sull’evoluzione della carriera dei Magic Pie,  perché, pur avendo registrato l’inequivocabile  crescita artistica ed il grado di maturità raggiunto dal gruppo norvegese nell’arco dei tre album finora pubblicati, il mio gradimento raggiunge il minimo proprio con l’ultima fatica “The Suffering Joy”.
Cosa ha smesso di funzionare? La mia sensazione è che il gruppo abbia cercato di uniformarsi  ed appiattirsi in maniera troppo rigida allo standard sonoro e stilistico di quei gruppi “platinati” che qualche copia in più riescono a vendere, svuotandosi progressivamente della seppur minima personalità mostrata nell’esordio. Va anche ricordato che le prime avvisaglie di questo mutamento si erano già manifestate nel precedente “Circus Of Life” ma mitigate da una componente sinfonica ancora prevalente.
Prendiamo la lunga suite che apre il disco: accattivante il tema principale che apre e chiude la suite, che ci ricorda che i Magic  Pie sanno tirare fuori buone idee. Il problema è in mezzo: un minestrone di Flower Kings, Dream Theater e derivati, un groviglio senz’anima di stacchi e giri melodici dal copyright depositato da tempo non solo incapaci di regalare emozioni, ma addirittura irritanti.
Il denominatore comune di questo desiderio di uniformarsi a ciò che sembra tirare di più al momento è dato dallo spostamento sempre più marcato verso territori metal che mal si concilia con il dna sinfonico di molti gruppi. Ed allora, oltre alla suite iniziale, l’ulteriore dimostrazione è “Slightly Mad”, una palese scimmiottata (ma non è questo il problema) del Teatro del sogno, colma di veloci quanto noiosi solos di chitarra a ripetizione.
Il problema più o meno generalizzato sembra risiedere proprio nello sviluppo centrale dei brani mentre qualche sprazzo di luce, benché non propriamente abbagliante, si trova in  “Headlines”, dall’incipit assai promettente e nella conclusiva “In Memoriam”, dove finalmente risento i Magic Pie degli inizi.
Se, in apparente contrasto con quanto detto sul disco, pronosticassi dati di vendite molto buoni, anche grazie alla splendida copertina, rischierei di sembrare irriverente o più semplicemente ammetterei che questo, purtroppo, è il prodotto medio che il ristretto pubblico progressivo vuole ascoltare? Luca Alberici

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